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Microplastiche nei polmoni: il segnale d’allarme dagli uccelli sull’aria che respiriamo

Le microplastiche sono ovunque, inquinano, e sono un grosso problema. Gli uccelli ci stanno fornendo informazioni preziosissime!

Hai mai pensato a quanta plastica c’è nell’aria che respiriamo ogni giorno? No, non quella delle bottiglie o dei sacchetti che svolazzano nei parchi, parlo di microscopici frammenti di plastica che fluttuano nell’aria e finiscono dritti nei polmoni. E non solo nei nostri: anche gli uccelli ne sono pieni, come ha scoperto un recente studio dell’Università del Texas ad Arlington.

Gli scienziati hanno deciso di esaminare i polmoni degli uccelli perché sono praticamente ovunque e condividono il nostro stesso ambiente. Se la plastica è nei loro polmoni, possiamo star certi che è anche nei nostri.

E infatti, i risultati sono stati tutt’altro che rassicuranti: un’alta concentrazione di microplastiche è stata trovata nei tessuti polmonari di ogni singolo esemplare studiato.

A dirla tutta, non è la prima volta che sentiamo parlare di microplastiche nell’ambiente. Sono state trovate nell’acqua, nel suolo, persino nel nostro cibo. Ma sapere che finiscono nei polmoni degli uccelli, creature che vivono a stretto contatto con la natura e volano nei cieli, fa un certo effetto.

Uccelli e plastica, un’accoppiata inquietante

Lo studio in questione ha analizzato i polmoni di 56 uccelli di 51 specie diverse, catturati nei pressi dell’aeroporto di Tianfu, in Cina. Già qui possiamo fermarci un attimo: chi avrebbe mai detto che un aeroporto potesse diventare un laboratorio a cielo aperto per studiare l’inquinamento? Ma in realtà ha senso, perché gli aeroporti sono zone di forte impatto ambientale, con aerei che sfrecciano e una quantità infinita di particelle sospese nell’aria. Per scovare le microplastiche, i ricercatori hanno utilizzato tecnologie avanzate, tipo spettroscopia a infrarossi e cromatografia di massa.

Risultato? In media, ogni specie aveva nei polmoni 221 particelle di plastica, con un massimo di 416 particelle per grammo di tessuto polmonare. Numeri spaventosi, se pensiamo che parliamo di minuscoli esseri viventi con un sistema respiratorio super efficiente, progettato per assorbire più ossigeno possibile (e, a quanto pare, anche più plastica possibile). Le plastiche più comuni trovate negli uccelli? Il clorurato di polietilene, usato per isolare tubi e fili, e la gomma butadiene, quella che si trova nei pneumatici delle auto. Insomma, i nostri scarti finiscono direttamente nei polmoni di questi animali. Ma non è finita qui.

Illustrazione di un gran numero di microplastiche (Pexels FOTO) – www.energycue.it

E per noi cosa significa?

Ok, gli uccelli respirano plastica, ma noi? Beh, basta un attimo di logica: se loro, che volano in aria aperta, ne assorbono così tanta, figuriamoci noi che viviamo immersi nel traffico, negli uffici chiusi, nelle metropoli piene di smog. E infatti, altri studi stanno già dimostrando che anche i nostri polmoni stanno accumulando microplastiche, con potenziali conseguenze devastanti sulla salute. Senza voler fare allarmismo gratuito, sappiamo già che le microplastiche sono associate a problemi seri come malattie cardiache, cancro, disturbi respiratori e persino infertilità.

Il problema? Non esiste un livello “sicuro” di plastica che possiamo inalare, perché nessuno ha mai studiato gli effetti a lungo termine di questa esposizione costante. Siamo, in pratica, le cavie di un esperimento involontario e su larga scala. E quindi? Beh, la prima cosa da fare è ammettere che abbiamo un problema. La seconda è capire come ridurre il nostro contributo a questa invisibile pioggia di plastica che ci circonda. Forse non possiamo smettere di respirare, ma possiamo ridurre l’uso della plastica, spingere per regolamentazioni più severe e finanziare ricerche che trovino soluzioni concrete. Insomma, possiamo ancora fare qualcosa.

Mattia Paparo

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