Il mercurio percorre gli oceani fino all’Artico: in pericolo gli ecosistemi locali

Illustrazione di un mare inquinato (Canva FOTO) - energycue.it
Gli oceani purtroppo non godono di ottima salute, soprattutto per via del mercurio che si diffonde ovunque e senza tregua.
Da anni ormai le emissioni di mercurio a livello globale sono in calo. Regolamenti, convenzioni internazionali, limiti più severi: tutto sembra indicare una buona notizia. Eppure qualcosa non torna. In Artico, gli animali marini continuano ad accumulare quantità preoccupanti di questo metallo tossico, e anzi, in alcuni casi le concentrazioni sembrano addirittura in aumento.
Uno studio guidato da ricercatori danesi delle Università di Aarhus e Copenaghen fornisce una spiegazione che, se vogliamo, è tanto semplice quanto inquietante: il mercurio “storico”, quello emesso decenni fa, non se n’è mai andato. Sta semplicemente viaggiando lentamente attraverso le correnti oceaniche, raggiungendo oggi le acque artiche dopo secoli di deriva.
Analizzando oltre 700 campioni di animali, piante, torba e tessuti d’archivio risalenti a 40 anni fa, gli scienziati hanno ricostruito con una precisione sorprendente il percorso del mercurio. Come? Grazie agli isotopi stabili, una sorta di impronta atomica che permette di capire dove e come il mercurio è entrato nell’ambiente. Un po’ come se si potesse leggere la carta d’identità chimica di ogni molecola.
Ed è proprio da queste “impronte” che arriva la conferma: le acque che arrivano in Groenlandia occidentale centrale, trasportate dalla corrente di Irminger dell’Atlantico settentrionale, contengono mercurio con una firma isotopica diversa da quella delle acque che lambiscono le coste nord-orientali, alimentate dal bacino artico. Cambiano le correnti, cambiano gli isotopi, cambiano le concentrazioni.
Correnti, impronte e contraddizioni
Uno degli aspetti più sorprendenti è che, nonostante i grandi sforzi internazionali per ridurre le emissioni, come la Convenzione di Minamata delle Nazioni Unite, i livelli di mercurio nei predatori artici non stanno diminuendo. Anzi: negli orsi polari e nei cetacei dentati, le concentrazioni sono oggi 20-30 volte superiori rispetto all’era preindustriale. Il motivo è tutto nel ritardo: le molecole di mercurio depositate in mare possono restare nell’acqua anche per 300 anni.
Quelle emesse durante il picco industriale dell’Ottocento e Novecento stanno ora emergendo nei mari artici, trasportate da enormi nastri trasportatori oceanici. In Groenlandia occidentale, ad esempio, le acque atlantiche portano meno mercurio in totale, ma con un contenuto più marcato dell’isotopo pesante δ202Hg, segno della provenienza più recente. Al contrario, nel nord e nell’est della regione, dove le acque vengono dall’Artico, le concentrazioni sono più alte e le firme isotopiche rimandano a un inquinamento più antico.
Effetti, ritardi e cosa ci aspetta
Gli effetti sull’ecosistema sono tutt’altro che trascurabili. Il mercurio colpisce il sistema immunitario, la riproduzione e, probabilmente, anche le funzioni sensoriali di molte specie. In alcune foche, orsi polari e uccelli marini, i livelli di mercurio rilevati sono già associati a danni fisiologici documentati. Ma a preoccupare è anche la salute delle popolazioni indigene, che da sempre dipendono dalla fauna marina per la propria alimentazione. La ricerca, pubblicata su Nature Communications (Søndergaard et al., 2025), dimostra come oltre il 60% del mercurio assorbito oggi dalla fauna marina artica sia il risultato di depositi atmosferici sotto forma di mercurio elementare (Hg0), spesso riciclato dal mare stesso.
I ricercatori del progetto GreenPaths, in collaborazione con iniziative come WhaleAdapt, stanno tracciando queste rotte di inquinamento anche in altre aree polari, con l’obiettivo di prevedere dove si concentrerà il mercurio prima che arrivi. Per il futuro, gli autori sottolineano che ridurre le emissioni resta fondamentale: ogni grammo di mercurio non rilasciato oggi è un problema in meno per le generazioni future. Ma servono anche monitoraggi a lungo termine, linee guida alimentari per le comunità del Nord e modelli che integrino anche gli effetti del cambiamento climatico sulle correnti marine. Perché, una volta finito in mare, il mercurio non si ferma.