Addio pubblicità in TV: UFFICIALE, ecco l’annuncio che non si aspettava nessuno | Da questa data diventa illegale

Illustrazione di un televisore spento (Canva FOTO) - energycue.it
La pubblicità ormai è un ricordo, e tutto ciò non era stato nemmeno preventivato dai telespettatori. Cosa sta succedendo?
La pubblicità in televisione è da decenni uno degli strumenti più potenti per influenzare gusti, consumi e comportamenti. Dai primi caroselli in bianco e nero ai moderni spot in alta definizione, ha accompagnato l’evoluzione della società, adattandosi al linguaggio e alle abitudini del pubblico.
Negli anni, il formato si è trasformato: si è passati da messaggi lunghi e narrativi a spot rapidi, d’impatto, spesso emozionali. I brand cercano di catturare l’attenzione in pochi secondi, usando musica, colori, volti noti e slogan memorabili.
Oggi, però, la pubblicità televisiva si trova a competere con quella digitale. Le piattaforme streaming, i social e i contenuti on demand hanno ridotto il tempo passato davanti alla TV tradizionale, spingendo le aziende a ripensare tempi, target e linguaggio degli spot.
Nonostante tutto, la TV resta un mezzo centrale, soprattutto per grandi eventi, programmi popolari o trasmissioni in diretta. La sua forza sta nella capacità di raggiungere milioni di persone in contemporanea, creando un impatto collettivo difficile da replicare altrove.
La TV pubblica e il suo prezzo
Quando si parla di televisione pubblica, spesso si pensa solo ai programmi: notiziari, serie storiche, trasmissioni culturali. Ma dietro lo schermo c’è un sistema di finanziamento che varia parecchio da un Paese all’altro. In molti casi, mantenere una TV di Stato significa chiedere ai cittadini un contributo, e il cosiddetto canone ne è la forma più comune. In Italia, ad esempio, viene inserito direttamente nella bolletta elettrica. Una soluzione, sì, comoda per lo Stato, ma non proprio amata da tutti.
Il dibattito ruota sempre attorno a due poli: da un lato, la necessità di sostenere un’informazione indipendente e accessibile; dall’altro, la sensazione di pagare qualcosa che non tutti usano o vogliono. Ma non è solo una questione economica: c’è di mezzo anche il rapporto, spesso affettivo o di fiducia, che il pubblico ha con i suoi canali nazionali. E in Europa, ognuno ha trovato il proprio modo per gestire questa relazione complicata.
Alcuni esempi interessanti
Prendiamo la Spagna. Come riportato da AGI, a differenza dell’Italia o del Regno Unito, lì il canone televisivo non esiste proprio. I cittadini non devono versare una quota diretta per sostenere RTVE, la radiotelevisione pubblica spagnola. Tutto viene finanziato con fondi statali e con una parte degli introiti raccolti da altri operatori televisivi e telefonici. Insomma, si contribuisce comunque, ma in modo meno visibile e percepito.
Dal 2009, infatti, RTVE non può più mandare pubblicità sulle sue reti, ed è questa una delle grandi differenze rispetto ad altri modelli europei. In cambio, riceve sostegno economico dallo Stato e da tasse imposte a privati come Mediaset o Vodafone. È un sistema che garantisce autonomia editoriale? Non sempre. Ma sicuramente ha tolto un po’ di pressione diretta dal portafoglio dei cittadini, lasciando però aperta la questione della sostenibilità a lungo termine.