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Inalare microplastiche: a casa e in auto 68.000 particelle al giorno

Le microplastiche sono ovunque, sia negli ecosistemi che nelle nostre case, e anche nelle nostre auto. E’ un problema da non sottovalutare.

Quando si parla di inquinamento da microplastiche, la mente corre subito agli oceani, alle spiagge piene di rifiuti o magari ai pesci che ingeriscono frammenti colorati. Ma il vero “campo di battaglia” potrebbe essere molto più vicino: l’aria che si respira ogni giorno, tra le mura di casa o dentro l’abitacolo di un’auto. Gli scienziati si sono accorti che la questione è più complessa e diffusa di quanto si pensasse, e che le particelle più piccole sono quelle di cui preoccuparsi di più.

Fino a poco tempo fa, gli studi si concentravano soprattutto sulle microplastiche più grandi, tra i 20 e i 200 micrometri. Non che siano innocue, ma è improbabile che riescano a penetrare in profondità nei polmoni. Eppure, esiste un’altra categoria molto più subdola: le particelle tra 1 e 10 micrometri, talmente minute da arrivare facilmente alle zone più interne dell’apparato respiratorio. Una ricerca pubblicata su PLOS One nel luglio 2025 ha proprio puntato i riflettori su queste dimensioni microscopiche, misurandole sia in appartamenti che negli abitacoli delle automobili.

I primi numeri fanno riflettere: nelle abitazioni, la concentrazione mediana rilevata è stata di 528 particelle per metro cubo; nelle auto, invece, si sale a 2.238 particelle per metro cubo. Non sorprende, se si considera che in un’auto lo spazio è ristretto, l’aerazione è particolare e molte superfici interne sono fatte di materiali plastici soggetti a usura. Una combinazione che, a quanto pare, crea un vero cocktail di polveri invisibili.

Questi dati non sono solo curiosi: implicano che l’esposizione quotidiana a microplastiche inalabili sia stata finora sottovalutata. La differenza rispetto alle vecchie stime è impressionante: secondo lo studio, la quantità di microplastiche tra 1 e 10 micrometri che una persona adulta potrebbe inalare ogni giorno è fino a cento volte superiore rispetto a quanto si era ipotizzato partendo da dati sulle particelle più grandi.

Il “respiro di plastica”

Il lavoro del team guidato da Nadiia Yakovenko ha usato la spettroscopia Raman, una tecnica capace di rilevare particelle fino a 1 micrometro, laddove altri metodi come la micro-FTIR si fermano intorno ai 10–20 micrometri. Questa scelta ha permesso di mappare le microplastiche sospese nell’aria indoor con un dettaglio mai raggiunto prima. Per dare un’idea della complessità, analizzare un solo millimetro quadrato di filtro ha richiesto oltre 16 ore tra immagini ottiche e raccolta di spettri, e poi estrapolare i dati all’intera superficie del filtro. Il risultato? Una concentrazione media indoor (considerando case e auto) di 1.877 particelle per metro cubo, con picchi estremi oltre le 34.000 particelle in condizioni di elevata attività umana in un appartamento.

La composizione chimica delle particelle varia a seconda dell’ambiente. Negli appartamenti domina il polietilene (76%), probabilmente per via di tessuti, imballaggi e oggetti comuni in casa; nelle auto, invece, primeggiano il poliammide e l’ABS, materiali tipici di rivestimenti e cruscotti. Quasi tutte le particelle identificate erano frammenti (97%), mentre le fibre rappresentavano una minoranza. Il 94% delle microplastiche era più piccolo di 10 micrometri, seguendo una distribuzione di tipo “legge di potenza”: più il frammento è piccolo, più è numeroso.

Illustrazione di alcune microplastiche sul palmo della mano (Canva FOTO) – energycue.it

Un problema da non sottovalutare

Incrociando i nuovi dati con studi precedenti, i ricercatori hanno stimato che, mediamente, l’aria indoor contiene circa 4.300 particelle per metro cubo nella fascia 1–10 micrometri e 200 nella fascia 10–300 micrometri. Applicando i tassi di inalazione raccomandati dall’UE (16 m³/giorno per adulti, 11 m³/giorno per bambini), l’esposizione giornaliera media sarebbe di circa 68.000 microplastiche inalabili al giorno per un adulto e 47.000 per un bambino. Nella fascia più grande (10–300 µm) i numeri sono più bassi, ma queste particelle, pur venendo spesso trattenute nelle vie respiratorie superiori, finiscono poi nel tratto gastrointestinale attraverso il muco deglutito, aumentando il carico di plastica ingerita ogni giorno (Yakovenko et al., 2025).

Gli autori avvertono che il problema non riguarda solo le microplastiche: se si estende il calcolo alle nanoparticelle (0,1–1 µm e 0,01–0,1 µm), l’inalazione giornaliera potenziale può superare di centinaia di volte quella delle microplastiche più grandi. E la pericolosità cresce: le particelle più piccole possono attraversare le barriere cellulari, entrare nel flusso sanguigno e accumularsi in organi vitali, portando con sé sostanze tossiche come metalli pesanti o inquinanti organici persistenti. Secondo lo studio, gli effetti possibili vanno dallo stress ossidativo all’infiammazione cronica, fino a rischi più gravi come alterazioni ormonali e danni a lungo termine ai tessuti. In sintesi, ciò che si respira in spazi chiusi potrebbe avere un impatto silenzioso ma consistente sulla salute, ben oltre quello che si vede a occhio nudo.

Mattia Paparo

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