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Circolo Polare Artico: neve fresca invernale diventa sempre più rara

Le Svalbard sono un piccolo paradiso “ghiacciato” ed innevato del Circolo Polare Artico. Ma negli ultimi anni, la neve è sempre più rara.

L’Artico sta vivendo una trasformazione che fino a pochi anni fa sembrava impensabile. Nelle ultime decadi il riscaldamento invernale ha accelerato in modo impressionante, e nell’arcipelago delle Svalbard questo cambiamento si sta facendo sentire con una forza particolare. Nel febbraio 2025, temperature eccezionalmente alte e piogge persistenti hanno innescato un fenomeno insolito: lo scioglimento diffuso della neve e la formazione di estese pozze d’acqua. Un evento che, per molti scienziati, è il segnale di un passaggio irreversibile verso un “nuovo” Artico.

Non si tratta di un episodio isolato, come riportato da questa ricerca. L’area artica si sta riscaldando a una velocità da sei a sette volte superiore alla media globale, con l’inverno che cresce in temperatura quasi al doppio rispetto alla media annua. I dati parlano chiaro: in 40 anni, gli episodi di pioggia su neve (i cosiddetti rain-on-snow events) sono aumentati sensibilmente, e le proiezioni indicano che entro la fine del secolo la pioggia sarà la forma di precipitazione dominante in gran parte della regione.

Durante il febbraio 2025, la stazione di Ny-Ålesund, il centro abitato permanente più a nord del pianeta, ha registrato una media mensile di -3,3 °C, contro i -15 °C tipici del periodo (1961-2001). In metà dei giorni del mese, il termometro ha superato lo zero, toccando un picco di 4,7 °C. Con queste condizioni, la neve non solo si scioglie, ma si innescano processi ambientali che fino a poco tempo fa si associavano esclusivamente alla primavera: strati di ghiaccio alternati, suolo che si scongela, microfauna e flora che si riattivano fuori stagione.

Gli studiosi che lavorano a Ny-Ålesund per osservare ecosistemi e cicli biogeochimici in condizioni invernali estreme si sono trovati di fronte a un paesaggio irriconoscibile. Pioggia, neve ridotta e acqua stagnante hanno costretto a rivedere protocolli di campionamento e logistica. Episodi simili, dicono gli autori, diventeranno sempre più frequenti e incisivi, con effetti a catena su ambienti e comunità umane dell’Artico.

Un paesaggio che cambia

Ny-Ålesund è da decenni un crocevia per la ricerca scientifica nell’Artico alto, ma l’inverno 2025 ha mostrato scenari inediti. Il terreno, normalmente protetto da un manto nevoso spesso e stabile, era in gran parte scoperto; laghi temporanei di acqua di fusione si estendevano sul permafrost; e i corsi d’acqua alimentati dai ghiacciai, che solitamente restano bloccati fino alla primavera, scorrevano liberi. In alcuni punti, il suolo era talmente morbido da poter essere campionato con un semplice cucchiaio, senza perforazioni né attrezzi pesanti. Perfino le porzioni più superficiali dello strato attivo del permafrost (quello che d’estate si scongela) risultavano già in fase di disgelo.

Sui ghiacciai circostanti, le nevicate erano state ridotte dalla pioggia, e nei residui di manto nevoso erano visibili più strati di ghiaccio, segno che lo scioglimento e il ricongelamento si erano ripetuti durante l’inverno. Secondo Bradley et al. (2025), queste condizioni non sono un’eccezione ma la nuova norma: il riscaldamento invernale accelera processi come la respirazione microbica dei suoli, che può aumentare il rilascio di CO₂, modificare la struttura del terreno e favorire la produzione di metano in condizioni anaerobiche. Fenomeni che, a loro volta, possono innescare un pericoloso feedback climatico.

Illustrazione delle alte temperature a febbraio delle Svalbard (Bradley et al., 2025 FOTO) – energycue.it

Effetti a catena sull’ecosistema e sulle comunità

Gli eventi di pioggia su neve e i disgeli invernali hanno conseguenze profonde sui sistemi artici. La perdita del manto nevoso riduce l’isolamento termico del suolo, esponendo la vegetazione e i microrganismi a oscillazioni termiche estreme, con possibili danni a radici e habitat. L’acqua di fusione che ristagna e poi gela forma croste ghiacciate che impediscono lo scambio di gas con l’atmosfera e ostacolano il foraggiamento invernale di animali come le renne. Inoltre, il ghiaccio, conducendo calore meglio della neve, modifica i tempi e la profondità del disgelo primaverile, destabilizzando lo strato attivo del permafrost e alterando le connessioni idrologiche tra suoli, ghiacciai, laghi e fiumi.

Le comunità umane non sono immuni. In Svalbard, l’instabilità del manto nevoso aumenta il rischio di valanghe; il disgelo del permafrost compromette le fondamenta degli edifici, come accaduto recentemente a Ny-Ålesund, dove strutture scientifiche hanno dovuto essere rinforzate. Il problema è aggravato dalla scarsità di dati invernali a lungo termine, che rende difficile prevedere gli impatti futuri. Tuttavia, l’episodio del febbraio 2025, pur non essendo unico, è stato un chiaro promemoria: l’inverno artico non è più quello di un tempo. 

Mattia Paparo

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