5% del problema (depositphotos.com) -www.energycue.it
La sanità rappresenta il 5% delle emissioni globali di gas serra e inquina i fiumi. La sfida? Unire salute e sostenibilità.
L’industria della salute è responsabile di una parte significativa delle emissioni mondiali di gas serra e della presenza di inquinanti nelle acque.
È un paradosso ma è così: mentre ci impegniamo per il benessere umano, mettiamo a rischio l’ecosistema stesso su cui facciamo affidamento! La crisi climatica ci obbliga pertanto a rivedere il settore sanitario, ponendo questioni sulla sostenibilità delle operazioni da esso condotte.
Sorgono così le domande: la medicina può essere veramente “ecologica”? E quali strumenti sono necessari per combinare diritto alla salute con protezione dell’ambiente?
Tali interrogativi sono al centro dell’attenzione di scienziati e istituzioni, come dimostrano le recenti ricerche e analisi internazionali a cura, tra gli altri, della Oxford University.
L’analisi rilanciata dall’ ANSA rivela che il settore sanitario genera circa il 5% delle emissioni globali di gas serra. Un dato sorprendente se paragonato a settori più frequentemente criticati, tipo l’aviazione commerciale. Ogni fase della catena sanitaria ha infatti un impatto ambientale: dall’estrazione delle materie prime per la produzione di medicinali e strumenti, fino allo smaltimento di rifiuti complessi, come imballaggi in PVC e alluminio e articoli monouso come siringhe, mascherine, guanti e camici. La situazione si complica ulteriormente considerando i propellenti ad alto potenziale di riscaldamento, come gli HFC negli inalatori e anestetici, e il significativo consumo energetico nella produzione farmaceutica.
Un altro studio pubblicato su PNAS Nexus della Oxford University stima che annualmente 8. 500 tonnellate di antibiotici inquinino i corsi d’acqua, contribuendo all’emergere di batteri resistenti ai farmaci. Un’indagine precedente del 2022, effettuata su 1. 052 siti di campionamento in 104 nazioni, aveva già trovato livelli di sostanze farmaceutiche superiori ai limiti di sicurezza in oltre un quarto dei fiumi analizzati. Tra i farmaci prevalenti la carbamazepina (usata per l’epilessia) e la metformina (per il diabete). Nei paesi a basso e medio reddito, dove la gestione delle acque reflue è spesso insufficiente e la produzione farmaceutica è intensa, i rischi risultano addirittura amplificati.
Come evidenziato dall’esperto Eugenio Di Brino, attualmente la valutazione delle tecnologie del settore sanitario si concentra su efficacia clinica, sicurezza ed ulteriori aspetti economici. Tuttavia, l’introduzione di un criterio ecologico potrebbe indirizzare i finanziamenti pubblici verso soluzioni più sostenibili. Un primo passo in questa direzione è stato effettivamente compiuto a livello europeo: un rapporto del Pharmaceutical Committee della Commissione Europea suggerisce di rafforzare l’analisi del rischio ambientale in fase di autorizzazione dei farmaci. Anche se non è ancora un requisito obbligatorio per tutti gli Stati membri, rappresenta un passaggio rilevante.
Le istituzioni scientifiche internazionali stanno, inoltre, anch’esse sollecitando maggiore attenzione sul tema. Secondo la rivista The Lancet, il settore sanitario non può più limitarsi a gestire gli effetti dei cambiamenti climatici, ma deve effettivamente contribuire alla riduzione del proprio impatto ambientale diretto. Speriamo che tale direzione venga tanto presa quanto mantenuta costantemente.
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