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L’Amazzonia brucia come mai prima: 791 milioni di tonnellate di CO₂ in un solo anno, più di un intero paese

Un’ondata di incendi senza precedenti colpisce l’Amazzonia, trasformando la foresta in una fonte record di emissioni globali.

Ci sono luoghi sulla Terra che funzionano un po’ come un sistema nervoso: se tocchi un punto, reagisce tutto il resto. L’Amazzonia è esattamente così. È molto più di una foresta: è una centrale climatica che influenza piogge, temperature e persino il ciclo del carbonio globale. Eppure, da anni manda segnali chiari che qualcosa si sta rompendo. E ora, quei segnali sono diventati allarmi.

Negli ultimi tempi si parla sempre più spesso di una minaccia subdola: la degradazione forestale. A differenza del disboscamento, che fa sparire interi ettari, qui la foresta resta in piedi… ma profondamente danneggiata. Incendi, stress idrico, frammentazione del territorio: pezzo dopo pezzo, la foresta perde vigore, come se si stesse svuotando dall’interno. Il colpo è silenzioso, ma profondo.

E non si può ignorare che l’uso scorretto del suolo stia aggravando il quadro. Dalla speculazione fondiaria agli incendi provocati per “ripulire” terreni, passando per un’agricoltura sempre più invasiva, tutto sembra congiurare contro la stabilità del bioma amazzonico. Quando ci si aggiunge un clima fuori controllo, il mix diventa esplosivo: siccità estreme e temperature torride trasformano qualunque scintilla in un disastro.

Fino a poco tempo fa, strumenti e rilevamenti non riuscivano a restituire l’immagine completa del danno. Le tecnologie esistenti erano limitate, e molte aree colpite passavano inosservate. Oggi però, grazie a nuovi sistemi satellitari e simulazioni avanzate, la situazione appare per quello che è: molto più grave di quanto si pensasse.

Numeri impressionanti e una svolta inquietante

Secondo uno studio pubblicato su Biogeosciences e condotto dal centro di ricerca della Commissione Europea, il 2024 è stato l’anno peggiore per gli incendi amazzonici in oltre vent’anni. Solo in quella stagione sono stati emessi nell’atmosfera ben 791 milioni di tonnellate di CO₂. Per avere un’idea: è più di quanto emette in un anno un paese industrializzato come la Germania.

La vera novità, però, sta nel fatto che per la prima volta non è stata la deforestazione a causare il danno maggiore, ma i processi di degradazione legati agli incendi. In totale, le fiamme hanno colpito oltre 3,3 milioni di ettari di foresta. Le aree più colpite? Il Brasile, che ha registrato i livelli più alti mai visti, e la Bolivia, dove è andato perso oltre il 9% delle foreste intatte ancora rimaste. Il tutto si inserisce in un contesto di crescente frammentazione del territorio, dove l’interconnessione tra siccità e uso del fuoco illegale alimenta un circolo vizioso devastante.

Grafico che mostra il degrato forestale dell’Amazzonia (Bourgoin foto) – www.energycue.it

Una foresta che sembra intera, ma non lo è

Per arrivare a queste conclusioni, il team scientifico ha usato una metodologia ibrida basata su dati del Tropical Moist Forest monitoring system e del Global Wildfire Information System, con un sistema di filtro in grado di distinguere tra incendi agricoli e forestali e di evitare segnali falsati da nuvole o interferenze atmosferiche. Il modello di calcolo si basa su un approccio Monte Carlo, capace di valutare le incertezze nelle emissioni incrociando variabili come la densità della biomassa, il livello di combustione e la percentuale di copertura boschiva colpita dal fuoco.

Il quadro che emerge è spietato: le foreste degradate non sono visibili nei bilanci ufficiali perché, dall’alto, sembrano ancora “verdi”. Ma dentro sono svuotate, ridotte in termini di funzione ecologica e di capacità di assorbimento del carbonio. È proprio questa invisibilità a renderle pericolose. Gli autori dello studio sottolineano l’urgenza di rivedere gli strumenti di monitoraggio, allargando il focus anche alla degradazione. La foresta non deve per forza sparire per cessare di funzionare. Serve un cambio di approccio a livello globale, inclusi nuovi meccanismi finanziari internazionali che riconoscano e affrontino anche questo tipo di impatto.

Furio Lucchesi

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