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Alluvione Emilia-Romagna 2023: il ruolo decisivo degli Appennini secondo uno studio italiano

L’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio 2023 è stata uno degli eventi meteorologici più devastanti degli ultimi decenni in Italia.

Le piogge torrenziali, durate diversi giorni consecutivi, hanno provocato esondazioni diffuse, frane e ingenti danni materiali, con perdite umane e sociali di vasta portata. Uno studio italiano, pubblicato su Scientific Reports e coordinato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) in collaborazione con il CNR, ha proposto una chiave di lettura nuova e sorprendente: il ruolo decisivo giocato dagli Appennini nel generare e amplificare l’evento.

Secondo i ricercatori, le montagne non sarebbero state soltanto lo sfondo geografico di un disastro naturale, ma un vero e proprio “motore fisico” dell’alluvione. L’orografia dell’Appennino settentrionale avrebbe infatti agito come una barriera in grado di intrappolare l’umidità proveniente dall’Adriatico, impedendo ai flussi d’aria carichi di vapore di disperdersi e favorendo un accumulo progressivo di precipitazioni sulla stessa area per più giorni. Questa configurazione meteorologica, descritta nello studio come “effetto cul-de-sac” – letteralmente “vicolo cieco” – avrebbe trasformato l’Emilia-Romagna in un bacino chiuso dove l’acqua atmosferica continuava a condensarsi e a cadere senza sosta.

Il meccanismo si è innescato quando un ciclone stazionario si è formato sull’Adriatico, convogliando masse d’aria umida verso la pianura padana. In condizioni normali, tali flussi troverebbero una via di fuga, ma la presenza delle catene montuose appenniniche e, più a nord, dell’arco alpino ha impedito qualsiasi movimento dispersivo. L’umidità, costretta a risalire lungo i pendii, ha subito un raffreddamento eccessivo che ha intensificato la condensazione, generando precipitazioni persistenti e localizzate. In questo senso, la morfologia dell’Italia centrale, con i suoi rilievi che si affacciano sul mare, ha agito da catalizzatore naturale per un evento di portata eccezionale.

Gli studiosi hanno sottolineato che non si è trattato di una semplice sequenza di rovesci violenti, ma di un sistema atmosferico bloccato nel tempo e nello spazio. Il ciclone, infatti, non ha traslato come accade di solito, ma è rimasto ancorato sull’area, mantenendo il flusso di umidità attivo per diversi giorni. Questo stato di “persistenza meteorologica” ha fatto sì che il suolo si saturasse rapidamente, che i fiumi superassero i propri argini e che i terreni franassero. Gli effetti sono stati cumulativi e inevitabili: una catastrofe costruita non tanto dalla forza momentanea della pioggia, quanto dalla sua durata e dalla sua ripetizione costante.

L’effetto cul-de-sac e la nuova vulnerabilità mediterranea

Lo studio del CMCC non si limita a spiegare un singolo evento, ma introduce un concetto più ampio di vulnerabilità climatica per le regioni mediterranee. Le aree costiere chiuse tra mare e montagne, come molte zone italiane, sarebbero naturalmente predisposte a subire questo tipo di “intrappolamento atmosferico”. Il cosiddetto effetto cul-de-sac, che combina la presenza di un mare caldo e l’orografia montuosa circostante, potrebbe quindi rendere più frequenti e più intensi gli episodi di precipitazione estrema in un clima che cambia. L’analisi introduce anche un nuovo indicatore, la “persistence density dei cicloni”, utile per misurare quanto a lungo un ciclone rimanga fermo su un’area e quanto spesso simili configurazioni si ripetano.

I ricercatori stimano che l’alluvione del 2023, nella configurazione climatica storica, fosse un evento con un tempo di ritorno di circa cinquecento anni. Tuttavia, con l’aumento delle temperature medie e del contenuto di umidità atmosferica, la probabilità che condizioni simili si ripresentino potrebbe crescere sensibilmente. Questo non implica che disastri identici si verificheranno ogni pochi anni, ma suggerisce che la combinazione tra persistenza ciclonica e intrappolamento orografico diventerà più probabile e più distruttiva. In altre parole, le montagne che da sempre rappresentano una protezione naturale potrebbero, in determinate circostanze, trasformarsi in un fattore di rischio.

Alluvioni in Emilia Romagna, ecco la causa (Freepik Foto) – www.energycue.it

Oltre la meteorologia: le responsabilità del territorio

La spiegazione fisica del fenomeno, per quanto convincente, non può essere considerata esaustiva. L’impatto devastante dell’alluvione è stato amplificato anche da fattori umani: l’urbanizzazione delle pianure, la riduzione delle aree di laminazione naturale, l’impermeabilizzazione dei suoli e la gestione insufficiente del reticolo idrografico. Le piogge eccezionali hanno trovato un territorio già fragile, incapace di assorbire o canalizzare l’acqua in eccesso. Ciò dimostra che la meteorologia e la pianificazione territoriale non possono più essere trattate come discipline separate: il clima estremo mette in crisi i confini tra natura e intervento umano.

In questo senso, la lezione dell’Emilia-Romagna è duplice. Da un lato, conferma che l’Italia, per la sua conformazione orografica e la sua posizione geografica, è intrinsecamente vulnerabile ai fenomeni di blocco atmosferico. Dall’altro, rivela la necessità urgente di politiche di adattamento che tengano conto di tali dinamiche. Investire in sistemi di previsione più accurati, ridurre l’impermeabilizzazione dei suoli, rinaturalizzare i fiumi e ripensare la gestione delle aree montane e collinari non è più un’opzione, ma una strategia di sopravvivenza. In conclusione, lo studio sul ruolo degli Appennini nell’alluvione del 2023 non è soltanto una scoperta scientifica, ma un monito politico e culturale. Mostra come la geografia possa trasformarsi da risorsa a minaccia se combinata con un clima alterato e una pianificazione insufficiente. L’effetto cul-de-sac è una metafora potente del nostro tempo: un vicolo cieco meteorologico che riflette anche l’impasse delle società nel fronteggiare la crisi climatica. Capire il ruolo delle montagne significa comprendere che la prevenzione del rischio non può più essere pensata solo in termini di emergenza, ma di convivenza consapevole con la complessità del territorio e del clima che cambia.

Sveva Di Palma

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