Entro il 2050, fino a 220 milioni di persone rischiano di perdere l’accesso all’acqua potabile a causa dell’espansione incontrollata delle città.
Uno studio internazionale avverte: la forma urbana può compromettere o migliorare i servizi essenziali, ma tutto dipende dalle scelte di pianificazione fatte oggi.
Uno studio condotto dal Complexity Science Hub (CSH) di Vienna in collaborazione con la Banca Mondiale lancia un allarme su scala planetaria: il modo in cui le città cresceranno da qui al 2050 determinerà l’accesso all’acqua potabile per centinaia di milioni di persone. In particolare, si prevede che, nello scenario peggiore, fino a 220 milioni di individui potrebbero ritrovarsi senza connessione a reti idriche sicure.
L’analisi ha esaminato oltre 100 città in Africa, Asia e America Latina, elaborando modelli su scala urbana basati su 183 milioni di edifici e 125.000 indagini domestiche. La ricerca si focalizza non solo sulla disponibilità fisica di risorse idriche, ma sulla capacità delle infrastrutture urbane di distribuire efficacemente questi servizi essenziali.
Per stimare l’impatto dell’espansione urbana, il team ha modellato tre scenari di crescita fino al 2050:
Lo scenario orizzontale, in particolare, genera le conseguenze più gravi: rispetto a una crescita compatta, si prevedono:
Questi dati sottolineano come l’estensione disorganizzata delle città non solo metta in crisi le infrastrutture esistenti, ma crei disuguaglianze strutturali nell’accesso a servizi fondamentali.
Uno dei punti chiave emersi dallo studio riguarda la distribuzione disomogenea dei servizi tra centro e periferia. Nei contesti urbani ad alta dispersione, gli abitanti delle aree periferiche hanno il 40% in meno di probabilità di essere serviti da infrastrutture critiche, rispetto a chi vive nelle zone centrali.
Le città che crescono verso l’esterno, senza una pianificazione strategica, generano infatti:
Come spiegato da Rafael Prieto-Curiel, autore principale dello studio, la questione della scarsità idrica va affrontata non solo sul piano ambientale, ma anche attraverso il disegno urbano: «La forma delle città è qualcosa che possiamo controllare attraverso la pianificazione».
Secondo le proiezioni demografiche, tra oggi e il 2050 le città africane triplicheranno la propria popolazione, mentre quelle asiatiche vedranno un aumento del 50%. In questo scenario, le scelte di pianificazione urbana avranno un impatto diretto sulla qualità della vita di miliardi di persone.
L’Africa, in particolare, presenta modelli di urbanizzazione più frammentati rispetto all’Asia. Solo il 12% degli abitanti urbani africani risiede in aree centrali ben servite, contro il 23% dell’Asia. Questo gap infrastrutturale rischia di ampliarsi drammaticamente se le tendenze attuali non vengono corrette con politiche orientate alla densificazione.
Il fenomeno dello sprawl urbano – ovvero la dispersione edilizia su grandi superfici – rappresenta una delle principali minacce alla sostenibilità delle città moderne. Non solo rende i servizi pubblici più costosi, ma ostacola anche:
Inoltre, le città estese diventano più vulnerabili in caso di siccità, alluvioni e altri eventi estremi, poiché l’infrastruttura non riesce a coprire in modo uniforme tutte le aree urbanizzate.
Una delle conclusioni più rilevanti dello studio è che costruire città compatte e funzionali non richiede più risorse, ma solo una diversa allocazione delle stesse. Come sottolineano gli autori, non è necessario investire in nuove infrastrutture, ma ottimizzare quelle esistenti tramite un approccio progettuale consapevole.
La densificazione delle aree urbane già esistenti permette infatti di:
Quartieri compatti e accessibili garantiscono non solo maggiore sostenibilità ambientale, ma anche inclusione sociale e giustizia spaziale.
Affrontare il rischio di crisi idriche urbane non è solo una questione tecnica, ma richiede una forte governance territoriale. I decisori pubblici devono adottare strumenti di pianificazione che favoriscano:
In questo senso, la pianificazione urbana deve diventare un pilastro centrale delle politiche climatiche e ambientali, al pari della transizione energetica e della decarbonizzazione.
Il rischio di lasciare 220 milioni di persone senza accesso all’acqua potabile entro il 2050 non è inevitabile. Dipende da come verranno costruite le città oggi. Lo studio del CSH e della Banca Mondiale dimostra che la forma urbana non è un dettaglio architettonico, ma una variabile strategica per la sostenibilità, l’equità e la qualità della vita.
Invertire la tendenza alla dispersione significa costruire città più sane, resilienti e inclusive. È una sfida che coinvolge urbanisti, ingegneri, amministratori e cittadini, ma anche una straordinaria opportunità per ripensare il modello urbano in funzione dei diritti fondamentali.
Per garantire che l’acqua resti un bene pubblico accessibile a tutti, è il momento di progettare città che mettano le persone – e non le automobili o il profitto – al centro dello spazio urbano.
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