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Violenza, se hai assistito a una brutta scena ti devono risarcire | Non importa chi è la vittima: soldi per tutti i presenti

Violenza sui bambini

Violenza, se assisti vieni risarcito, ecco perché (Freepik Foto) - www.energycue.it

Il confine tra educazione e sopraffazione è da sempre sottile.

Ciò che ieri era considerato un metodo educativo duro ma accettabile, oggi si rivela incompatibile con una società che riconosce ai minori diritti inviolabili.

In questo scenario, la giustizia italiana ha ribadito un principio fondamentale: non esiste un fine educativo che possa giustificare la violenza.

Gli effetti di comportamenti coercitivi o punitivi vengono oggi valutati con criteri oggettivi, sia sotto il profilo psicologico sia sotto quello giuridico.

Le linee guida e le indicazioni delle istituzioni mirano a definire limiti precisi, fornendo strumenti per distinguere interventi corretti da pratiche considerate dannose o non conformi alla legge.

La chiarezza della giurisprudenza

Un episodio avvenuto a scuola, apparentemente circoscritto, ha acceso un dibattito molto più ampio. Una docente di sostegno, per contenere un alunno iperattivo, avrebbe spinto la sua testa verso il lavandino, stringendogli il collo. Un gesto che non può essere liquidato come “eccesso” educativo, ma che ha invece aperto la strada a un processo penale. La questione non riguarda solo quel caso. Riguarda l’intera nozione di “abuso dei mezzi di correzione”, regolata dall’articolo 571 del codice penale, che punisce chi eccede nell’uso di strumenti correttivi leciti. Ma quando il mezzo è già di per sé violento, possiamo ancora parlare di abuso o siamo di fronte a un reato diverso? La Cassazione ha sciolto ogni dubbio: la violenza, in qualsiasi forma, non entra tra i mezzi educativi consentiti. Chi la esercita, anche con intenti correttivi, non commette “abuso dei mezzi di disciplina”, ma direttamente il reato di percosse o lesioni. Una linea di demarcazione che tutela il minore e chiarisce la responsabilità dell’adulto.

Il cuore della sentenza (Cassazione penale, Sez. VI, n. 13145/2022) sta tutto in una frase: “l’abuso è ipotizzabile solo quando sia lecito l’uso”. In altre parole, si può parlare di abuso disciplinare solo se il metodo, di per sé lecito—un rimprovero, un compito riparatorio, l’esclusione da un’attività—viene esercitato in maniera sproporzionata. Diverso è il caso in cui l’insegnante o il genitore ricorra alla forza fisica. Una spinta, uno schiaffo, un atto coercitivo non sono mai strumenti correttivi ammessi. Sono violenza e, come tali, integrano direttamente fattispecie di reato più gravi, senza la possibilità di un inquadramento attenuato.

Violenza sui ragazzi
La violenza non è giustificabile, ecco come vieni ripagato se assisti (Freepik Foto) – www.energycue.it

Oltre il diritto: una nuova idea di educazione

La pronuncia non è solo un tecnicismo giuridico, ma il riflesso di un cambio culturale. Nel passato, il cosiddetto jus corrigendi dava agli adulti un ampio margine per “disciplinare” i minori. Oggi, grazie anche alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, il bambino è un soggetto titolare di diritti propri, e qualsiasi intervento educativo deve rispettarne integrità e dignità.

Il risultato è chiaro: la scuola e la famiglia non sono più spazi in cui la violenza può essere tollerata in nome dell’educazione. Sono luoghi in cui la violenza è esclusa in modo assoluto, e dove correggere significa accompagnare, non punire fisicamente. È un cambio di paradigma che intreccia diritto, pedagogia e cultura, e che rende ogni episodio come quello esaminato dalla Cassazione un monito forte e inequivocabile.