Uno studio pubblicato su “Nature Materials” avrebbe rilevato un intenso processo di corrosione sulla superficie di contatto dei fusti contenenti rifiuti radioattivi. Si tratta di un fenomeno che non va trascurato, a detta degli scienziati, che mettono in discussione gli attuali metodi di stoccaggio.
In base al loro livello di radioattività, prima di essere smaltiti, i rifiuti radioattivi subiscono processi chimici e fisici che prendono il nome di trattamento e condizionamento, al fine di minimizzare il volume dei rifiuti, e ridurli in una forma stabile, adatti al trasporto e manipolazione. Dei processi nello specifico si è già trattato in un precedente articolo.
A livello normativo, La Direttiva 2011/70/EURATOM istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi richiedendo agli Stati Membri dell’Unione Europea di predisporre un Programma nazionale. In Italia è stata recepita con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45 .
Sul sito del Deposito Nazionale, sono spiegate alcune tipologie di depositi di rifiuti radioattivi:
Lo studio si riferisce ai rifiuti ad alta attività e al loro stoccaggio definitivo. I ricercatori hanno considerato l’interfaccia tra la superficie interna dei fusti di acciaio e le scorie e ne hanno studiato la corrosione in condizioni di deposito simulato per 30 giorni.
Il fenomeno di corrosione avverrebbe poiché il raffreddamento delle scorie può far percolare acqua all’interno dei fusti. La corrosione dell’acciaio, di cui è costituita la superficie interna, genera cationi metallici, che a loro volta aumentano i livelli di acidità locale. Questo favorisce e accelera il processo di corrosione non solo dell’acciaio, ma anche del vetro. A lungo andare, le specie radioattive verrebbero liberate.
Al fine di evitare dispersione di materiale radioattivo nell’ambiente, i ricercatori hanno evidenziato la necessità di considerare tale rischio nelle valutazioni circa il deposito dei rifiuti.
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