Ambiente

Microplastiche: individuazione satellitare grazie ai dati NASA

Gli scienziati dell’Università del Michigan hanno sviluppato un innovativo metodo di analisi dei dati satellitari della NASA. L’obiettivo è quello di tracciare il movimento delle microplastiche nell’oceano. La tecnica sfrutta la rete di satelliti statunitensi CYGNSS (Cyclone Global Navigation Satellite System), nati per studiare le increspature degli oceani create dal vento.

Microplastiche: cosa sono e come si formano

In media, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare ogni anno. Secondo alcuni studi, al momento la quantità di plastica presente negli oceani supera le 150 milioni di tonnellate. Quando questi rifiuti plastici vengono colpiti dai raggi del sole possono spezzarsi creando le cosiddette microplastiche. Un’altra causa di formazione è dovuta al movimento delle onde, al quale sono inevitabilmente sottoposti i materiali plastici dispersi in mare. Le microplastiche possono essere trasportate a centinaia o migliaia di chilometri di distanza dalla fonte dalle correnti oceaniche, rendendo difficile rintracciarle e rimuoverle.

L’impatto delle microplastiche

Le microplastiche presenti negli oceani rappresentano la prima causa di morte per molti animali marini. Infatti, questi piccoli frammenti di materia plastica possono essere ingeriti da una grande quantità di specie. Risulta evidente come questo particolare tipo di rifiuto sia dannoso tanto per gli organismi marini quanto per gli ecosistemi in generale.

Il monitoraggio delle microplastiche con il CYGNSS

Attualmente, la principale fonte di informazioni sulla posizione delle microplastiche proviene dai pescherecci a strascico. Infatti, le reti che utilizzano per catturare il plancton raccolgono involontariamente anche grandi quantità di microplastiche. L’Università del Michigan sta studiando una nuova tecnica di monitoraggio basata sui dati del Cyclone Global Navigation Satellite System della NASA. Il CYGNSS è una costellazione di otto piccoli satelliti sviluppata per misurare la velocità del vento sopra gli oceani e per fornire informazioni sulla forza degli uragani. Il sistema, inoltre, è dotato di un radar per misurare la rugosità dell’oceano. Quest’ultima, in particolare, è influenzata da diversi fattori, tra cui anche la quantità di detriti che galleggiano in acqua.

Il nuovo metodo di individuazione: le ipotesi di partenza

Il lavoro di ricerca è stato svolto da Chris Ruf, professore di Scienze dello spazio e del clima presso l’Università del Michigan e ricercatore principale del CYGNSS, e dalla studentessa Madeline C. Evans. I ricercatori, lavorando a ritroso a partire dai dati del CYGNSS, hanno individuato i luoghi dove l’oceano era meno rugoso di quanto ci si aspettasse, date le elevate velocità del vento. Secondo il team, questo peculiare comportamento della superficie oceanica poteva stare ad indicare una rilevante presenza di microplastiche in quella zona.

La dimostrazione delle ipotesi e i risultati ottenuti

Si sono poi confrontate le aree di analisi con le osservazioni e le previsioni dei modelli su dove le microplastiche si concentrano nell’oceano. In questo modo, gli scienziati hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione tra rugosità della superficie oceanica e inquinamento da microplastiche. In particolare, i risultati ottenuti evidenziano come le microplastiche tendano ad essere presenti in acque più lisce. I dati del CYGNSS, dunque, risultano essere un valido strumento per monitorare la presenza e la quantità di microplastiche oceaniche dallo spazio.

Il confronto tra estate e inverno

Dall’elaborazione dei dati ottenuti, inoltre, è emerso che la quantità di microplastiche aumenta in maniera significativa nella stagione calda. Nei mesi di giugno e luglio si registra una crescita della loro concentrazione nell’Atlantico e nel Pacifico settentrionale. Nell’emisfero sud, analogamente, le concentrazioni massime di microplastica si rilevano nei mesi di gennaio e febbraio, cioè nei mesi dell’estate australe. In estate, dunque, la plastica è più visibile negli oceani. Secondo i ricercatori, questa variazione è probabilmente dovuta al fatto che in inverno, a causa della presenza di correnti oceaniche più forti, le materie plastiche vengono spinte in profondità. La mancata rilevazione non sta dunque ad indicare una minor quantità di microplastiche ma piuttosto una loro (ancor più grave) deposizione sui fondali oceanici.

Giulia Rizzotti

Dottoressa magistrale in Ingegneria Energetica, con specializzazione nel settore dell'energia rinnovabile. Profondamente interessata alla tutela dell'ambiente, alla salvaguardia degli ecosistemi e degli esseri viventi tutti. In cerca di una corretta visione di interazione tra uomo e natura. Autrice per #EnergyCuE da giugno 2020.

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