Innovazioni

Radioattività artificiale indotta da neutroni: la scoperta

Il 18 ottobre del 1934, nell’Istituto di fisica dell’Università di Roma, ubicato in via Panisperna n. 90, Edoardo Amaldi e Bruno Pontecorvo, mentre bombardavano un cilindretto d’argento con neutroni, al fine di studiare l’intensità e il tipo di radioattività indotta, notarono qualcosa di decisamente strano: l’effetto della sorgente di neutroni sul bersaglio dipendeva non solo dalla distanza tra i due, ma anche dal tavolo su cui erano posati. Il livello di radioattività indotta era assai maggiore sul tavolo di legno che su quello di marmo.

La scoperta della radioattività artificiale

Franco Rasetti all’iniziò si arrabbiò con Amaldi e Pontecorvo, soprattutto con quest’ultimo, attribuendo quell’imbarazzante serie di misure alla sua imperizia, al punto che lo allontanò dal laboratorio. Il povero Pontecorvo, avvilito, vagò per diversi giorni nei corridoi, fino a quando fu nuovamente ripreso in laboratorio dal momento che il bizzarro fenomeno si verificava anche in sua assenza. I primi tentativi di spiegare la ragione per cui la radioattività indotta dipendesse dal tavolo su cui si svolgeva l’esperimento furono fallimentari, finché la mattina del 22 ottobre, con un’intuizione divenuta leggendaria, Enrico Fermi ebbe l’idea di interporre uno schermo di paraffina tra la sorgente di neutroni e il cilindro d’argento da irradiare.

All’improvviso, il contatore Geiger prese a crepitare come una mitragliatrice, registrando un aumento della radioattività artificiale mai visto prima. Gli altri membri del gruppo di via Panisperna accorsero, immaginando, come prima reazione, che il contatore dovesse essere rotto. Ma furono subito disillusi. Poco prima dell’una Fermi annunciò che era tempo di andare a pranzo. Ebbe così il tempo di riflettere, in perfetta solitudine, su quelle straordinarie osservazioni. Alle tre, quando il gruppo ritornò all’Istituto riposato e pronto a riprendere il lavoro, Fermi aveva compreso il fenomeno.

La spiegazione scientifica

La paraffina è composta da idrocarburi e, quindi, contiene un’alta proporzione di idrogeno. Il nucleo di idrogeno ha praticamente la medesima massa del neutrone, al contrario dei nuclei più pesanti, la cui massa è pari a 2, 3, 50 o anche 100 volte tanto. Urtando con gli atomi di idrogeno, i neutroni rallentavano notevolmente, così come una palla da biliardo perde velocità se ne incontra un’altra della medesima grandezza. La parte finale dell’enigma consisteva nel capire perché rallentando i neutroni si intensificasse la radioattività dei bersagli. Ebbene, secondo Fermi, per i neutroni “lenti” era maggiore la probabilità di cattura da parte dei nuclei degli elementi bombardati, che così diventavano instabili e, quindi, radioattivi.

Ad alte velocità, tale probabilità si riduce perché la cattura ha meno tempo per verificarsi, un neutrone “veloce” può rasentare il nucleo così rapidamente da non risentirne l’azione. In altre parole, la probabilità di assorbimento nel nucleo dipende dal tempo che il neutrone passa entro il raggio di cattura del nucleo stesso. L’idea di Fermi spiegava l’anomalia riscontrata da Amaldi e Pontecorvo: il tavolo di legno ha più atomi di idrogeno rispetto a quello di marmo, per cui i neutroni che rimbalzavano dal tavolo di legno e raggiungevano il bersaglio erano stati rallentati, quelli riflessi dal marmo no.

Per verificare l’ipotesi, era necessario fare un esperimento con una sostanza che a temperatura ambiente avesse una concentrazione di idrogeno ancora maggiore. Per fortuna c’era dell’acqua a portata di mano: la sorgente di neutroni e il bersaglio furono immersi nella fontana dei pesci rossi che era nel mezzo del giardino dell’Istituto e, anche in questo caso, il contatore Geiger impazzì. L’esperimento della vasca confermò la teoria: anche l’acqua, al pari della paraffina, moltiplicava la radioattività artificiale dell’argento di un fattore assai grande. La storia non dice se i pesci rossi ne abbiano risentito, ma molto probabilmente rimasero disorientati da quella doccia di neutroni!

L’inserimento dell’esperimento sulla radioattività artificiale sulla rivista “La ricerca scientifica”

Quella sera il gruppo si radunò nell’appartamento di Amaldi. Sua moglie, Ginestra, lavorava al Consiglio Nazionale delle Ricerche e avrebbe potuto portarvi una relazione sugli esperimenti per consegnarla alla rivista “La ricerca scientifica“. Lei si occupò di battere a macchina la relazione dettata da Fermi, interrotto continuamente dalle critiche accalorate degli altri. A tratti il gruppo era talmente eccitato e rumoroso che poi la cameriera degli Amaldi chiese se per caso avessero bevuto troppo.

Nel corso degli studi successivi, i ragazzi di via Panisperna osservarono che nel caso dell’uranio, l’elemento più pesante conosciuto all’epoca, il bombardamento dei neutroni dava luogo ad un corpo radioattivo che non furono in grado di identificare chimicamente. Erroneamente, Fermi pensò di aver creato degli elementi transuranici, ma in realtà lui e i suoi “ragazzi” avevano assistito, per la prima volta nella storia, ad un fenomeno di fissione nucleare, in poche parole, al processo che è alla base della bomba atomica. Si ritrovarono così con lo scrigno dell’energia nucleare aperto in mano, restando fermamente convinti che esso fosse ancora chiuso.

Vincenzo Giordano

Nato nel 1971 e residente a Bari, è professore a contratto presso il Politecnico di Bari e professore di ruolo di Matematica presso il Liceo Scientifico Statale "E. Fermi" di Bari.

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