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Turkmenistan, la “Porta dell’Inferno” brucia da oltre 50 anni

Il cratere di Darvaza, la “Porta dell’Inferno” che arde nel deserto del Turkmenistan da oltre mezzo secolo.

Nel bel mezzo del deserto del Karakum, una distesa infinita di sabbia e rocce nel cuore dell’Asia centrale, esiste un posto che sembra uscito direttamente da un racconto apocalittico. È una voragine gigantesca, un cratere che sputa fiamme da decenni senza mai spegnersi. Lo chiamano la “Porta dell’Inferno”, e a vederlo di notte, quando il fuoco illumina l’oscurità per chilometri, non è difficile capire il perché.

Questa enorme buca nel terreno, larga circa 70 metri e profonda 30, si trova vicino al villaggio di Darvaza, in Turkmenistan. Il nome ufficiale sarebbe cratere di Darvaza, ma il soprannome infernale gli si addice molto di più. Per quanto spaventoso possa sembrare, oggi è una vera attrazione turistica, uno di quei posti assurdi che spingono viaggiatori e curiosi a inoltrarsi in una delle regioni più isolate del pianeta.

Di giorno sembra solo un grosso buco fumante nel terreno, ma di notte il bagliore delle fiamme trasforma l’area in uno spettacolo surreale. L’origine del cratere è avvolta nel mistero. La storia più diffusa racconta che, decenni fa, un gruppo di ingegneri sovietici stesse trivellando il terreno in cerca di gas naturale quando, all’improvviso, il suolo collassò, aprendo questa voragine. Il problema?

Dal cratere ha iniziato a fuoriuscire metano in quantità, un gas altamente infiammabile e dannoso per l’ambiente. Qualcuno – forse gli stessi ingegneri – ha pensato bene di dargli fuoco, sperando che bruciasse in pochi giorni. Ma quei giorni si sono trasformati in più di 50 anni, e la Porta dell’Inferno non accenna a spegnersi.

Un viaggio nelle fiamme: l’impresa di George Kourounis

Nel 2013, l’esploratore del National Geographic George Kourounis ha deciso di fare qualcosa che nessuno aveva mai osato prima: calarsi dentro il cratere. Un’impresa folle, preparata per due anni nei minimi dettagli. Il tempo a disposizione era pochissimo: 17 minuti per raccogliere campioni di suolo e analizzare i gas che si sprigionano dal fondo. “È stato molto più caldo, molto più spaventoso e molto più grande di quanto mi aspettassi”, ha raccontato in seguito.

Le immagini di quella spedizione hanno fatto il giro del mondo, trasformando il cratere in una destinazione ancora più famosa. Ma il governo turkmeno non ha mai avuto un’idea chiara su cosa farne. A volte lo promuove come un’attrazione turistica unica al mondo, altre volte dichiara che vuole spegnere le fiamme per sempre. Per ora, però, il fuoco continua a bruciare indisturbato.

La Porta dell’Inferno (BBC Global – youtube screenshot) – www.energycue.it

Il dilemma: spegnere o lasciar bruciare?

Il vero problema è che questa voragine non è solo una curiosità geologica: è anche una bomba ecologica a cielo aperto. Il Turkmenistan è uno dei Paesi con le maggiori emissioni di metano al mondo, e questo cratere ne è una testimonianza piuttosto ingombrante. Però, e qui sta il paradosso, alcuni scienziati sostengono che sia meglio che il gas continui a bruciare piuttosto che disperdersi nell’atmosfera. Il metano è un gas serra potentissimo, molto più della CO₂, quindi lasciarlo fuoriuscire sarebbe addirittura peggio. Ma spegnere la Porta dell’Inferno non è affatto semplice.

Alcuni propongono di riempire il cratere di cemento, bloccando così l’ossigeno e soffocando il fuoco. Altri pensano che bisognerebbe risalire alla sorgente della fuoriuscita di gas e sigillarla sottoterra. E poi c’è l’idea più estrema: usare un’esplosione controllata per far collassare la cavità e chiuderla definitivamente. Ma nessuna di queste soluzioni è garantita, e il rischio di creare un danno ancora più grande è altissimo. Per ora, il cratere di Darvaza rimane lì, a bruciare come ha sempre fatto. Forse un giorno qualcuno troverà il modo di spegnerlo, oppure il gas si esaurirà da solo. Fino ad allora, la Porta dell’Inferno continuerà a illuminare le notti del deserto.

Furio Lucchesi

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