Illustrazione di una renna (Canva FOTO) - energycue.it
Renne, il loro futuro è incerto. Questi simboli dell’Artico, potrebbero sparire a causa dei cambiamenti climatici.
Ci sono animali che incarnano un paesaggio. Le renne, o caribù come viene chiamato in Nord America, è senza dubbio uno di questi: branchi infiniti che si muovono lungo la tundra, figure eleganti ma resistenti, legate da secoli alla vita delle popolazioni indigene.
Negli ultimi trent’anni, la loro abbondanza globale si è ridotta di quasi due terzi. Una perdita impressionante, se si pensa che stiamo parlando di una delle specie più rappresentative e adattate dell’Artico. Nonostante abbiano già superato i grandi stravolgimenti climatici della fine dell’ultima glaciazione, oggi il contesto appare diverso, forse troppo veloce, forse troppo complesso.
Un team internazionale di ricercatori, guidato dalle università di Adelaide e Copenaghen, ha voluto ricostruire questa lunga storia evolutiva. Usando fossili, DNA antico e modelli computerizzati, sono riusciti a seguire le popolazioni di Rangifer tarandus negli ultimi 21.000 anni, paragonando i dati del passato con previsioni per i prossimi decenni. Una sorta di macchina del tempo scientifica.
Il quadro che emerge non è incoraggiante. I cali osservati durante i periodi di rapido riscaldamento del passato sono stati significativi, ma quelli previsti entro fine secolo risultano ancora più drastici. Secondo lo studio pubblicato su Science Advances, alcune popolazioni nordamericane potrebbero ridursi fino all’80% entro il 2100 se non ci saranno tagli sostanziali alle emissioni di gas serra.
La ricerca mostra che i Rangifer hanno saputo sopravvivere a bruschi cambiamenti climatici subito dopo l’ultima era glaciale, quando le temperature dell’Artico sono aumentate anche di 10 °C in poche decine di anni. La loro resilienza, però, era legata a caratteristiche ben precise: ampia capacità di adattarsi a habitat diversi, alta mobilità e popolazioni numerose, in grado di ridurre il rischio di estinzione locale.
I modelli indicano che durante il tardo Pleistocene e l’inizio dell’Olocene, le renne si spostarono verso nord, abbandonando progressivamente l’Europa meridionale e centrale, fino a rifugiarsi nelle aree artiche. In Nord America le popolazioni si mantennero più stabili, approfittando del ritiro dei ghiacci per espandere i territori. È stato questo mix di mobilità e versatilità ecologica a permettere la loro sopravvivenza, a differenza di altri giganti come mammut e rinoceronti lanosi, che scomparvero nello stesso periodo.
Se si proiettano questi dati nel futuro, lo scenario cambia radicalmente. Secondo i ricercatori, sotto lo scenario peggiore (RCP8.5), la popolazione globale di Rangifer potrebbe calare del 58% entro il 2100, con una contrazione del 46% della loro distribuzione geografica. In Nord America le perdite sarebbero più gravi: fino all’84% della popolazione e al 71% delle aree occupate. Anche con uno scenario intermedio (RCP4.5), i cali resterebbero consistenti, intorno al 40%.
Le conseguenze non riguardano solo gli animali. Questi grandi erbivori regolano la diversità vegetale della tundra e influenzano lo stoccaggio di carbonio nei suoli artici, e la loro scomparsa si tradurrebbe in: meno piante resistenti, meno capacità di immagazzinare carbonio e quindi un ulteriore rilascio di CO₂ nell’atmosfera, che finirebbe per aggravare lo stesso riscaldamento che li sta minacciando.
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